Le Chiese
Chiesa di San Giovanni
Di probabile fondazione longobarda, quasi nulla rimane dell’antica basilica romanica a tre navate, attestata già nel X secolo.
Venne rifatta completamente tra Sei e Settecento, come fa fede la data 1685 incisa all’esterno dell’abside.
L’interno è una spaziosa e luminosa navata con due cappelle per ogni lato; gli affreschi del soffitto sono del pittore lariano Tagliaferri, eseguiti tra il 1897 e il 1909: nella grande cupola centrale c’è il “Mistero della trasfigurazione del Signore” con Gesù tra Mosè ed Elia, nelle vele agli angoli sono ritratti gli evangelisti, sulle pareti scene della vita del Battista, titolare della chiesa; nel catino dell’abside il Redentore e sopra c’è l’esaltazione dell’Eucarestia.
Entrando in chiesa, la prima cappella a sinistra è dedicata a San Gaetano da Thiene, raffigurato in una tela di scuola fiamminga; nella cappella seguente il prezioso quadro di Gaudenzio Ferrari “Trionfo del Cristo Risorto” dipinto nel 1532, giunto a Bellagio per donazione Frizzoni a metà dell’800. Dopo la porticina che comunica col campanile è posta su di un piedistallo la secentesca Madonna Assunta, marmo della scuola del Bernini che proviene da Genova, donata nel 1874 in ricordo della duchessa Luisa Brignole Sale sposata Melzi d’Eryl. Nel presbiterio domina il maestoso altare in legno dorato del bellagino Antonio Pino, eseguito tra il 1685 e il 1692. Scendendo incontriamo il fonte battesimale: una cinquecentesca vasca di marmo bianco, sormontata da un coperchio di bronzo e una statua del Battista con l’agnello, entrambe opere del 1974 di Giovanni Tavani. La cappella centrale di destra è intitolata alla Madonna delle Grazie, racchiude un incantevole affresco di principio ‘500 con la Vergine, il Bambino e San Giovannino. Proviene dalla vecchia basilica romanica demolita, i due angeli nella parte superiore sono un’aggiunta secentesca per adattare il vecchio dipinto al nuovo altare.
È dedicata a San Primo la cappella a destra dell’ingresso, rappresentato dal manichino nella teca, assemblato negli anni ’40 del ‘900 per conservarvi le reliquie donate dal duca Tommaso Gallarati Scotti. Nella nicchia c’è la statua secentesca dell’Assunta che si usava portare in processione la prima domenica di settembre. L’organo monumentale sopra la porta d’ingresso è un Carrara di Legnano del 1862, ex voto dei parrocchiani per lo scampato contagio dall’epidemia di colera del 1855 che falcidiò migliaia di vittime nella provincia di Como ma che non colpì Bellagio. La piazza antistante la chiesa è tra le più belle e scenografiche del lago! Il molo fu costruito nel XV secolo per volere dell’arciprete, sulle pietre del muretto sono incisi otto giochi del mulinello: per alcuni un indizio di presenza templare. Il sagrato ebbe funzione di cimitero fino alla fine del ‘700 e l’edificio a meridione della chiesa era un oratorio dedicato a San Rocco, con annesso ossario dentro la cancellata che guarda la sacrestia. I due cipressi che caratterizzano la piazza furono collocati verso la metà dell’800.
La Beata Vergine Annunciata a Breno
La chiesa nasce come santuario mariano verso la metà del ‘500 per devozione ad una miracolosa immagine della Madonna del latte, che si trovava in una cappellina ma fu poi trasferita nella chiesa, murandola sopra l’altare, dove è tutt’ora visibile.
Secondo una leggenda la costruzione del santuario fu voluta da un signore del castello di Bellagio, l’attuale villa Serbelloni, perché ricevette una grazia dalla madonnina miracolosa, ma è comunque documentato un grande concorso di popolo nei lavori.
Il santuario di Breno cambiò destinazione nel 1857 perché scelto a sede della neonata parrocchia di Visgnola, intitolata alla Beata Vergine Annunciata, con un parroco titolare residente.
Per adattare la chiesa a questo nuovo uso ne arricchirono gli arredi, per rispondere alle esigenze e al decoro che una parrocchiale richiede, ma gran parte fu a discapito della vicina chiesa di San Martino, spogliata delle migliori opere per portarle a Breno.
Questa migrazione di quadri e arredi è la ragione per cui oggi nella chiesa della Beata Vergine Annunciata si ha la più sorprendente collezione artistica della pieve bellagina.
L’interno è una sola aula, con tre cappelle per ogni lato; i gradevoli affreschi del soffitto, di soggetto mariano e con i quattro evangelisti, sono degli anni ’20 del Novecento. La prima cappella a sinistra ospita un bel quadro di fine Quattrocento, in origine a San Martino e attribuito ad Alvise De Donati: Sant’Alberto Magno in cattedra discute sulle divine scritture, in basso da destra si riconoscono i santi Egidio, Bonaventura, Tommaso d’Aquino. Nella seconda cappella un’altra pregevole opera quattrocentesca proveniente da San Martino: la Madonna in trono che dispensa rose, in basso i santi Domenico, Pietro Martire e le schiere dei fedeli; in alto a sinistra si scorge un paesaggio: Bellagio con i tre rami del lago. Nel presbiterio la splendida pala d’altare cinquecentesca racconta gli episodi della vita del Battista ed è ricca di immagini di santi; proviene da San Giovanni. Sopra questo polittico c’è l’affresco miracoloso della Madonna del latte per il quale venne edificata la chiesa. Il tabernacolo dorato che in parte copre il polittico era a San Martino, si tratta di un’opera secentesca della bottega dei De Pino di Bellagio, fu commissionato per la parrocchiale di Limonta, ha infatti nei soggetti i santi Ambrogio, Bernardo, Dionigi e Carlo. Ai lati del presbiterio quattro grandi tele di ottima fattura, da sinistra: Luigi IX, Caterina d’Alessandria, l’Annunciazione, San Rocco. Degni di nota i pannelli di scagliola che ornano la mensa dell’altare e i due amboni, si pensa alla mano dell’intelvese Pietro Solari (XVIII sec.).
Discendendo la navata, dopo il fonte battesimale la seconda cappella custodisce la statua del Cristo Morto: secondo la memoria popolare era in origine un Gesù in croce, ma servendo un “Gesù Morto” segarono le braccia adattandolo in questo modo; recenti restauri hanno confermato questo racconto, stimando del Quattrocento l’originario crocifisso. Anche il quadro che vi sta sopra, il compianto di Cristo Morto, è di fine Quattrocento e proveniente da San Martino, come pure la Deposizione nel Sepolcro nella cappella seguente. La piazza antistante la chiesa custodisce nel sottosuolo delle fresche cantine, un tempo usate per conservare e lavorare il latte, si narra che vi abitava un essere inquietante: la “Mann Pelosa” che afferrava chiunque tentasse di entrarvi. A destra della chiesa la “fontana degli avelli” alimentata da acqua sorgiva è stata rimaneggiata alla fine dell’800 ma conserva due faccioni in pietra di epoca medievale. Quando i mezzi di locomozione erano quadrupedi e le strade mulattiere, questa fontana rappresentava per i viandanti una sosta rinfrescante prima di intraprendere la salita della via Vallassina, non dimentichi di indirizzare una preghiera alla Santa Maria di Breno per raccomandarle i propri passi.
Basilica di San Giacomo
Costruita tra il XI e il XII secolo, San Giacomo è un esempio di basilica in stile lombardo comacino a tre navate divise da colonne e pilastri, terminante in tre absidi; per questo suo valore fu dichiarata monumento nazionale già al principio del Novecento e sottoposta ad un radicale restauro, seguendo lo spirito di quel tempo: demolirono le pesanti modifiche barocche secentesche e ricostruirono ciò che mancava, in uno stile affine all’originale romanico. Fu un immane sforzo economico per tutta la comunità parrocchiale, in perfetta sintonia di intenti con il lungimirante prevosto don Maraffio. Alcune parti si sono conservate originali nei secoli, ad esempio le sculture dell’ambone, le colonne della navata e il nucleo centrale dell’affresco quattrocentesco della Madonna delle Grazie; altre che oggi vediamo sono una fantasiosa ricostruzione novecentesca. Molte delle opere ora presenti sono state acquisite per donazione nel secolo scorso, per dare maggior decoro alla basilica rinnovata.
Entrando in chiesa, a sinistra, il fonte battesimale con copertura in rame sbalzato è opera del 1959 di Franco Daverio di Bergamo; accanto c’è il vecchio fonte in marmo e la scultura “Ultima stilla” di Bruno Luzzani, a ricordo del Beato Teresio Olivelli, qui battezzato il 16 gennaio 1917 e nato pochi giorni prima nella casa di fronte alla chiesa. Addossata alla prima colonna della navata l’acquasantiera è un’antica vasca in marmo, probabilmente precristiana di reimpiego. Lungo la parete, la tela del 1607 col martirio di San Giacomo è opera di Aragonio Aragoni. Segue un crocifisso arcaico in pietra e un gradevole dipinto secentesco di Madonna con Bambino, della suora pittrice Orsola Maddalena Caccia. L’altare dell’Addolorata racchiude una tela con la Deposizione, da alcuni attribuita al Perugino; sotto, in una teca c’è la statua dell’Intero: il Gesù Deposto, in legno policromo di impressionante realismo, rinvenuto nel lago di fronte al Borgo verso il 1629, è oggetto di grande devozione. Dopo l’antica cassetta delle elemosine e la commovente lapide sepolcrale di Francisca, giovane donna morta di parto, l’abside settentrionale è una cappella dedicata a Sant’Orsola, raffigurata nel mosaico del catino, opera del 1914 di maestranze veneziane, come pure gli altri mosaici presenti in chiesa.
L’ambone di bianco marmo è una ricostruzione dell’originale medievale: le sculture romaniche dei quattro evangelisti sono autentiche. Nel presbiterio il tabernacolo dorato del XVII secolo è della famosa bottega dei Pino di Bellagio; lo scenografico mosaico del catino riproduce il martirio di San Giacomo, copiato dall’opera del Mantegna che esisteva nella cappella Ovetari di Padova. La terza abside è dedicata a Sant’Antonio da Padova, conserva un tabernacolo secentesco proveniente dalla chiesa dei cappuccini di Pescallo. Discendendo la navata, dopo il quadro dell’Immacolata c’è il trittico della Madonna delle Grazie: la parte centrale, con Maria e il Bambino, è lo strappo di un affresco di fine Quattrocento, ritoccato e completato a principio Novecento con i santi Rocco e Sebastiano ai lati. Seguono sulla parete alcune tele, tra cui i ritratti di due pontefici: il domenicano Benedetto XIII e il comasco Innocenzo XI Odescalchi. All’esterno della chiesa, osservando il campanile è evidente la possente muratura della parte inferiore, era infatti una torre della cinta muraria medievale, poi convertita a campanile quando nel XII secolo venne costruita la chiesa. La parte superiore, meno massiccia, fu aggiunta nel XVIII secolo dando al campanile l’aspetto attuale; accanto alla torre si apriva una delle tre porte di accesso al paese. La spaziosa piazza della chiesa era detta “il casato”: serviva ai duchi Sfondrati, che risiedevano nella villa sul colle, per schierare i loro armigeri. La torre nell’angolo superiore destro della piazza aveva funzione di collegamento tra il Borgo e le fortificazioni sul colle, che culminavano con un castello sulla sommità. Nella parte bassa della piazza, l’edificio sede del Bar Sport è la casa dove nacque nel 1917 il beato Teresio Olivelli; prima ancora, nel Settecento, era un convento con educandato, di cui resta memoria nel nome “salita monastero” della adiacente scalinata che scende a lago.